Assistenza Spirituale
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Durante gli ultimi decenni, il progresso scientifico-tecnico ed i cambiamenti socio-culturali hanno causato una notevole evoluzione nell’assistenza di malati algici, cronici e terminali. Tra le conseguenze positive di tali trasformazioni merita una particolare attenzione quella riguardante l’accompagnamento spirituale dell’ammalato in fase terminale.
Nel passato, tale aspetto dell’approccio al morente era considerato compito esclusivo degli operatori pastorali, soprattutto del sacerdote. Ad essi i medici affidavano il malato terminale quando non vi era più nulla da fare dal punto di vista sanitario. Tale atteggiamento era frutto dello spiccato orientamento organicistico della medicina che portava ad una visione riduttiva del paziente, considerato più nella sua rilevanza biologica che in quella relazionale e spirituale.
Nel nuovo modo di concepire l’assistenza al malato terminale, l’accompagnamento spirituale tende ad essere inserito nei programmi terapeutici. Tra i molteplici fattori che hanno contribuito a questo cambiamento di prospettiva, il più importante è costituito dall’affermarsi della filosofia delle Cure Palliative, nelle quale sono confluite intuizioni geniali di alcuni autori, quali Elisabeth Kübler-Ross, Virginia Henderson e Cicely Saunders. Nei loro scritti esse hanno elaborato concetti che risulteranno determinanti per la pratica delle cure palliative. La prima, E. Kübler-Ross, ha messo in evidenza il percorso psico-affettivo-spirituale del malato in fase terminale. Dalle opere della Henderson risalta chiara l’affermazione che per offrire assistenza infermieristica rispettosa della persona, occorre riconoscerne i bisogni; inclusi quelli spirituali. Da parte sua, la Saunders ha messo in luce la componente spirituale del dolore dei pazienti in fin di vita . Tali concetti, ripresi e sviluppati anche da molteplici altri studi e ricerche, hanno pervaso la filosofia assistenziale degli hospice, sottolineando che la cura del malato terminale deve farsi assistenza fisica, psicologica, morale, spirituale e religiosa, in relazione alla crisi provocata nel soggetto dalla prospettiva della sua morte prossima .
A sostegno della loro filosofia dell’assistenza del malato morente, i promotori delle Cure Palliative hanno potuto contare sulla psicosomatica e le scienze del comportamento orientate umanisticamente, che hanno contribuito a correggere, almeno parzialmente, la visione organicistica della medicina, mettendo in luce la necessità e l’efficacia di un approccio globale o olistico delle persone in situazione di malattia.
Utili sono state anche le ricerche sul rapporto tra la spiritualità, il morire e la morte. Il morire è un processo altamente spirituale; suscita interrogativi concernenti il senso ultimo delle relazioni con sé, con gli altri, con l’universo. In una situazione critica come quella della morte, infatti, la rottura dell’unità soggettiva provoca, nel paziente, uno squilibrio che gli fa toccare con più realismo la misura dei suoi limiti ed il senso della finitudine.
Non va, infine, trascurata la forte ricerca di spiritualità presente nella nostra società. Infatti, la questione spirituale è tornata in primo piano. Se ne occupano intellettuali, scrittori, editorialisti, perfino critici d’arte e scienziati. Temi spirituali fanno capolino in riviste e giornali. Lo scienziato Luis-Vincent Thomas afferma: “Il fallimento di un mondo ipertecnicizzato genera un bisogno immenso di spiritualità” . Elaborando la sua affermazione, il medesimo autore parla della nostra cultura tecnico-industriale come di uno specchio in cui appare poco a poco l’immagine d’un uomo nuovo, senza illusioni, senza religione (nel senso tradizionale del termine), il cui corpo e i cui desideri – oggettivati, misurati, valutati – non sarebbero che l’oggetto d’una buona gestione sociale, d’una regolazione ottimale ad opera della medicina, della dietetica, dell’organizzazione sportiva, delle politiche assicurative, senza dimenticare i divertimenti gentilmente organizzati.
Non c’è il rischio che anche il mondo sanitario rifletta, come in uno specchio, l’immagine di un malato terminale ‘gestito’ alla perfezione dal punto di vista tecnico, ma appiattito spiritualmente sotto il pretesto di sottrarlo alla sofferenza?
L’accompagnamento spirituale
L’affermare, come avviene nelle Cure Palliative, la rilevanza dell’accompagnamento spirituale del morente impone la domanda sulla natura della spiritualità.
Tale interrogativo potrebbe forse sembrare inutile a chi ha familiarità unicamente con gli scritti relativi al ministero verso i malati terminali esercitato dai ministri di una determinata religione.
A coloro, invece, che prestano attenzione alla riflessione che sta avendo luogo su questo argomento in ambienti e gruppi non confessionali, risulta più che mai pertinente interrogarsi sulla diversità dei significati attribuiti al termine spiritualità. Assistiamo, infatti, a un movimento che tende a far esistere la spiritualità indipendentemente dalla religione. Sempre più numerosi sono i non credenti che rivendicano la possibilità di vivere delle esperienze e dei valori spirituali senza che vi sia alcun riferimento al religioso e alla fede. Questa apertura sempre più marcata allo spirituale non è senza ingenerare confusioni.
Dietro il termine ‘spiritualità’, infatti, si nascondono un’infinità di concezioni differenti, talvolta anche contraddittorie. Tenendo conto di questa situazione, appare utile operare alcuni chiarimenti, distinguendo tra spiritualità umana, spiritualità religiosa e spiritualità confessionale, cioè determinata dall’adesione ad un particolare credo religioso. Secondo alcuni autori, la spiritualità umana va intesa come l’insieme delle aspirazioni, delle convinzioni e dei valori che contribuiscono a organizzare in un progetto unitario la vita dell’uomo, orientando il suo modo di situarsi nei confronti della realtà attraverso le sue scelte e decisioni, la sua apertura alla bellezza, alla relazione…ecc ecc.
Così intesa la spiritualità appare come una dimensione essenziale dell’uomo, che coordina tutte le altre dimensioni della persona umana – fisica, psichica, affettiva – verso la propria autorealizzazione entro una determinata situazione di vita. Fanno parte della dimensione spirituale dell’uomo la scala dei valori, la domanda sul senso della vita, sul perché della presenza nel mondo, la tensione verso la trascendenza, cioè verso qualcosa che supera l’essere umano Questa domanda di senso, che segna la specificità dell’uomo è presente durante tutto il percorso di una vita, anche se si accentua nei periodi di crisi e specialmente nella vicinanza della morte.
A questo tipo di spiritualità sembra riferirsi, ad esempio, Jung quando scrive: “Fra tutti i miei pazienti nella seconda parte della loro vita, diciamo al di sopra dei 35 anni, non ce n’è stato uno solo il cui problema, in ultima analisi, non fosse quello di trovare una dimensione religiosa alla propria vita. E questo indipendentemente dall’adesione a una credenza particolare o alla appartenenza ad una Chiesa”. Tale definizione di spiritualità – ricerca di senso, affermazione di valori, tensione verso la trascendenza – non presuppone necessariamente una religione anche se, evidentemente, non la esclude. Quando lo spirituale (i grandi interrogativi e le profonde aspirazioni…ecc ecc.) trova la sua sorgente o la sua risposta in una fede e nella relazione con Dio e si esprime attraverso un particolare sistema di credenze, simboli, riti, persone che fanno da mediazione tra Dio e l’uomo, possiamo parlare di spiritualità religiosa, che assume connotazioni specifiche a seconda del credo religioso in cui è inserita (religione cristiana, cattolica, giudea, mussulmana…ecc ecc).
L’attenzione a tale varietà di definizioni della spiritualità e di modi di viverla – resa più acuta dal crescente pluralismo etnico – deve portare, da una parte a un profondo rispetto delle posizioni altrui, accompagnato dall’apprezzamento degli aspetti positivi in essse presenti e, dall’altra, ad un dialogo autentico che sfoci nella valorizzazione degli elementi comuni ed in un cammino di crescita.
E’ importante, però, osservare che l’emancipazione dello spirituale nei confronti del religioso non impedisce che in gran parte dei casi la persona cerchi e trovi la risposta ai suoi bisogni spirituali nella religione e, nel contesto italiano, soprattutto nella religione cristiana. Scrive, infatti, il sociologo Franco Garelli: “Pur all’interno d’una dinamica d’incongruenze, la maggioranza degli europei pare informata da un orientamento religioso di fondo, da una generale accettazione dei valori religiosi e delle credenze più importanti della tradizione religiosa. Ci si riconosce complessivamente credenti e cristiani, si è ancorati alla tradizione culturale e religiosa del proprio paese, si condividono alcuni elementi dottrinali di fondo…”.